Tesi di laurea - Lo stereotipo dell'Italia e degli italiani, dokumenty, włoski

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UNIVERSITA PER STRANIERI DI PERUGIA
FACOLTÀ DI LINGUA E CULTURA ITALIANA
CORSO DI LAUREA PER LA PROMOZIONE DELLA LINGUA
E DELLA CULTURA ITALIANA NEL MONDO
A.A. 2008/09
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LO STEREOTIPO DELL'ITALIA E DEGLI ITALIANI
Uno studio sul campo in Giappone presso la Kansai Gaidai University
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Relatore
Prof.ssa Stefania Scaglione
Correlatore
Prof. Takeshi Tojo
Candidato
Andrea Gobbi
Indice
Introduzione
3
I. Lo stereotipo
4
I.1. Introduzione e cenni storici
4
I.2. La definizione cognitivista
6
I.3. La categorizzazione sociale
8
I.4. Aspetti patologici dello stereotipo
9
I.5. Stereotipo e pregiudizio
10
I.6. Le rappresentazioni sociali
10
II. Italia e Giappone: analisi del contesto
12
II.1. L'Italia vista dal Giappone
12
II.2. I rapporti economici
12
II.3. Il turismo
13
II.4. Lo studio della lingua italiana
13
II.5 Sviluppo dell'immagine “Italia”
14
II.6. La strategia di promozione dell'Italia in Giappone
15
II.7. Un fenomeno mediatico: Girolamo Panzetta
15
III. I presupposti teorico-metodologici della ricerca
17
III.1. Scopo della ricerca
17
III.2. Ipotesi di lavoro
17
III.3. Il campione
18
1
III.4. Gli strumenti di indagine
18
III.4.1. Il questionario
19
III.4.2. La scala di Thurstone
21
III.5. Metodologia di analisi delle risposte
23
III.6. Alcune considerazioni metodologiche
a posteriori
23
IV. Analisi dei dati
25
IV.1. Le risposte al questionario
25
IV.2. Le risposte alla scala di Thurstone
33
IV.3. Sintesi conclusiva
35
Conclusioni
37
Riferimenti bibliografici
40
Riferimenti web
42
Appendice
43
A.1. Il questionario
43
A.2. La scala di Thurstone
46
A.3. Campione intero: tabelle
47
A.4. Studenti di italiano: tabelle
58
A.5. Gruppo di controllo: tabelle
69
2
Introduzione
Questo lavoro nasce da un'esperienza di vita e di studio fatta in Giappone, dove ho
studiato per due semestri alla Kansai Gaidai University durante l’anno accademico
2007-2008.
Il germe della curiosità per gli studi culturali e per l'immagine dell'Italia all'estero era
tuttavia già presente in me da tempo, da quando, cioè, partii diciassettenne per un anno
di studio all'estero. In quell'occasione vidi per la prima volta l'Italia

da fuori

e mi
trovai a dover “indossare le scarpe” dell'italiano all'estero, scontrandomi con gli
numerosi stereotipi riguardanti la nostra identità e la nostra cultura.
A sette anni di distanza, ho voluto approfittare di questo ulteriore, prolungato
soggiorno all'estero per tentare una ricerca su basi strutturate e più rigorose, per quanto
senza pretesa di esaustività, per capire meglio come siamo visti e percepiti dal di fuori,
in questo caso particolare dai giapponesi.
Questo lavoro si pone l'obiettivo di analizzare gli stereotipi diffusi tra i giapponesi in
relazione all'Italia e agli italiani.
Nel primo capitolo ho presentato il concetto di stereotipo, su cui si basa la mia
ricerca, proponendo un breve excursus del suo sviluppo.
Il secondo capitolo si propone di delineare brevemente il contesto delle relazioni tra
l'Italia e il Giappone, focalizzando in particolare l’immagine del nostro Paese così come
viene presentata dagli organi ufficiali italiani di promozione.
Nel terzo capitolo, di carattere metodologico, vengono illustrati i presupposti della
ricerca e gli strumenti utilizzati per svilupparla.
Nel quarto capitolo, infine, sono stati analizzati e discussi i dati raccolti.
3
I. Lo stereotipo
I.1. Introduzione e cenni storici
L'introduzione del concetto di stereotipo nelle scienze sociali si deve a Walter
Lippman, giornalista americano che, nel corso deii suoi studi sulla formazione
dell'opinione pubblica (Lippman 1922), utilizzò il termine per definire quelle idee
immutabili e impermeabili che organizzano le categorie sociali (Arcuri Cadinu 1998:
15).
Lippman mutuava il termine “stereotipo”dal mondo tipografico, dove veniva
originariamente utilizzato per definire tanto il processo di stampa in cui i caratteri
metallici che formavano una parola e le parole di una riga venivano organizzati e fusi
insieme, formando appunto un unico stampo rigido che veniva utilizzato più e più volte
per la stampa di righe tutte uguali, quanto lo stampo stesso.
Si trattava di uno strumento che, una volta costruito, era molto comodo e di facile
utilizzo; nel caso in cui, però, durante la composizione della riga fossero stati fatti degli
errori, il fatto che fosse stato ormai fuso e preparato ne rendeva impossibile la modifica.
Onde evitare sprechi, si stampava dunque con l'errore, ripetendolo migliaia di volte.
Lippman ritenne che questa doppia accezione del termine “stereotipo” si prestasse
particolarmente bene a designare in chiave metaforica le opinioni precostituite, non
acquisite sulla base dell’esperienza diretta e scarsamente suscettibili di modifica: si
tratta infatti di strumenti cognitivi di facile utilizzo, il cui mutamento o aggiustamento
risulta però così complicato che non viene praticamente mai messo in atto.
Lippman ebbe intuizioni lungimiranti, che vennero successivamente riprese dalla
tradizione di studi di scuola cognitivista. Il periodo storico in cui egli operava era
tuttavia quello dei primi anni del Novecento, quando l’analisi delle identità culturali si
focalizzava ancora sulla dimensione e sulla natura delle differenze tra le quelle che
venivano definite le “razze” (Mazzara 1996: 60 ss.).
La cosiddetta “psicologia delle razze” partiva dal presupposto che le caratteristiche
psicologiche degli individui fossero codificate e trasmesse geneticamente; una simile
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